LA MOSTRA PROSEGUE FINO AL 15 LUGLIO…. Io, Manifesto. Arte grafica di lotta dal 1968 al 1980

Io, manifesto.

«A partire dall’esplosione ribelle del ’68, e per quasi una decina di anni – scrive Marco Revelli – si aprì a Torino una “finestra” di collaborazione creativa senza precedenti nella quale, intorno al baricentro costituito dall’iniziativa operaia di fabbrica, s’incontrarono e s’intersecarono esperienze artistiche diverse e convergenti. Forme espressive, linguaggi, esperienze d’individui e di gruppi appartenenti all’intero ventaglio della produzione artistica: grafica, pittura, design, musica, poesia. Chiunque possedesse una qualche vocazione per l’arte si sentì mobilitato per contribuire a un’impresa condivisa di comunicazione di quel grande processo di liberazione che serpeggiava nella società e che premeva “da sotto”. Come se l’iniziativa, soprattutto quella spontanea dei gruppi di fabbrica che riprendevano in mano la propria vita dopo decenni di sfruttamento, permettesse in qualche modo a ognuno di dare un senso forte alla propria capacità espressiva». A questa intensa stagione è dedicata la mostra “io, Manifesto. Arte grafica di lotta dal 1968 al 1980”, organizzata da Volere la Luna, che si apre oggi a Torino, al Polo del ‘900, e che proseguirà sino al 28 giugno.

La mostra propone manifesti e serigrafie di grande effetto. Gli autori (Piero Baral, Fernanda Conti, Laura Fiori, Piero Gilardi, Gianni Lerda, Alessandro Midulla, Pietro Perotti e Bruno Scrascia) sono assai diversi per storie e formazione. Operai cresciuti nelle lotte alla Fiat, insegnati di scuole d’arte, artisti di fama internazionale, tutti sono accomunati dal coinvolgimento personale e dalla militanza politica. Lo si vede nei committenti (organizzazioni di base, movimenti, sindacati) e soprattutto nei temi affrontati, che attraversano le grandi questioni di quegli anni: la condizione operaia, le lotte alla Fiat, il protagonismo dei lavoratori immigrati dal sud, l’antifascismo, il femminismo, la difesa del corpo delle donne e della legge sull’aborto, la campagna contro i manicomi e per la loro chiusura, il diritto alla casa, la repressione… Il tutto con forme espressive nuove e originali, in cui si susseguono e sovrappongono immagini iconiche (da Gesù Cristo a Carlo Marx), pugni chiusi, sbarre, chiavi inglesi e via seguitando. «I manifesti del maggio francese, che avevano, per così dire, offerto una “matrice” – sono ancora parole di Marco Revelli –, ma anche la grafica cubana, o i murales cileni, o l’underground americano dei ghetti in rivolta rivisitati dalla creatività militante di ognuno in forma originale, disseminano un’infinità di oggetti artistici fai-da-te: volantini, poster e manifesti, tazebao, giornali murali, mobiles e animazioni, destinati a socializzare le esperienze di lotta, a offrire un commento quotidiano agli eventi nazionali e globali come a quelli di reparto e di officina, che fossero l’offensiva del Thet in Vietnam o lo sciopero alla Lastroferratura di Mirafiori, le stragi delle strategia della tensione o l’occupazione della Singer di Leinì».

Quell’impegno politico è diventato, a Torino come in molta parte del mondo, una forma artistica innovativa. «La “rivoluzione francese” del maggio 1968 – scrive Tomaso Montanari – segna una cesura anche nell’uso pubblico dell’arte. Non solo essa non è più al servizio del potere costituito (come avveniva da millenni, in una linea che era stata però contraddetta se non altro da singoli artisti negli ultimi secoli), ma è diffusa capillarmente sia nel suo farsi, sia nei luoghi cui è destinata, che ora coincidono con lo spazio pubblico tutto intero. Il 16 maggio 1968 gli studenti, i docenti dell’École des Beaux Arts di Parigi occupano i laboratori e le aule dei corsi di incisione, e Atelier populaire si impadronisce dei “mezzi di produzione” artistica: la serigrafia dilaga per le strade della capitale e del Paese. La straordinaria qualità dei manifesti che ne escono sta nel connubio tra padronanza del mezzo grafico, liberazione creativa, essenzialità del messaggio: la diffusione in Europa, in Occidente e nel mondo è velocissima. Vista con gli occhi del nostro tempo, l’arte dei manifesti appare una sorta di levatrice della Street Art di oggi, che muove i suoi primi passi nell’America di poco successiva. Le immagini e le parole, che per secoli avevano prodotto consenso e conformismo (almeno nelle intenzioni dei committenti) e che già da decenni servivano a vendere prodotti a clienti e consumatori nella grafica pubblicitaria, ora sono al servizio del dissenso e del pensiero critico. La città stessa, cioè la polis, è il teatro di elezione di questa forma d’arte, insieme popolare e raffinata: almeno qui, l’immaginazione prese davvero il potere».

La mostra torinese – progettata e allestita con passione e cura da Valeria Cottino, Elena Maria D’Agnolo Vallan e Carlo Minoli – ci riporta in quel contesto. Ma non è solo questo. Il mosaico dei manifesti esposti conserva una grande attualità anche oggi, quando le idee e le voci ad essi sottese sembrano travolte dalla controrivoluzione conservatrice dilagata a partire dall’autunno ’80. Nessuna nostalgia e nessun rimpianto ma la testimonianza di una stagione che ha ancora molto da dire e un omaggio alla creatività e all’originalità di quel tipo di comunicazione. Con una chiosa. La mostra è un punto di arrivo ma anche un punto di partenza: dispersi in tanti rivoli quei manifesti sono stati ritrovati e proposti insieme; il progetto è, ora, di implementarli, archiviarli ed evitarne la dispersione.

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