Viaggi nella musica per Cuba: Mauràs

MAURAS

MAURÀS: “IN DICO SEMPRE LA VERITÀ HO VOLUTO CONCENTRARMI SULLE PERSONE, SPRONANDOLE A RIFLETTERE”

fONTE: https://www.musicaincontatto.it/

Ciao Mauràs, “Dico sempre la verità” è il tuo primo album solista, che arriva dopo l’esperienza con i Poor Man Style (con i quali, ricordiamo, hai pubblicato 4 album) e quella da producer con diversi artisti, tra cui Willie Peyote e Principe. Ascoltandolo, abbiamo percepito una forte esigenza comunicativa, il desiderio di parlare al tuo pubblico, di dire la tua. Com’è nato il progetto?

La mia discografia ha un sacco di progetti tutti differenti tra loro, oltre quelli che hai citato nella domanda, ce ne sono infatti molti altri. Per me è come se tutto fosse servito a farmi arrivare fino qua.
Ho conosciuto Bonnot mentre portavo in giro il disco che ho fatto uscire nel 2016 come Dj Koma aka Mauràs intitolato “La Vita E’ Dura”, ero in apertura ad Assalti, un anno e mezzo fa, gli ho lasciato il disco ed è nato tutto in modo spontaneo.
Riguardo all’esigenza di comunicare, sì, ne sento il bisogno e riesco a farlo al meglio solo con la musica.
Non ho un vero e proprio “mio pubblico”, basta verificare i numeri che ruotano attorno al disco che ho appena citato o i miei follower su Instagram e Facebook; per me è stato ancora più bello scrivere e creare tutto da zero.

Qual è il filo conduttore che lega le tracce del tuo disco e quali sono le tematiche di maggior rilievo, il messaggio che volevi arrivasse a chi lo ascolta?

Sono sincero, non ci ho mai pensato. Scatto delle fotografie con le parole e le trasformo in canzoni. È pieno di gente che dice cosa dobbiamo fare o come dobbiamo comportarci, io preferisco porre quesiti, vorrei che la gente si facesse più domande, perché il cammino che facciamo per arrivare alle risposte è molto più importante delle risposte stesse.

Collaborare con un produttore come Bonnot è sicuramente garanzia di qualità, ma ascoltando l’album abbiamo piacevolmente scoperto che, oltre ad una produzione fortissima sulla quale non nutrivamo dubbi, ci sono anche testi, scritti e curati da te personalmente, che catturano completamente, distanti dal banale e dallo scontato.
Tu hai deciso di parlare a tutti: alle persone che, come noi, provengono da un certo tipo di background musicale, ma anche alle nuove generazioni, contro le quali non punti il dito (come fanno molti), ma che inviti alla riflessione, al ragionamento.

Quanto credi sia importante il ruolo della musica, o, ancor più, dei protagonisti dell’attuale scena musicale italiana, nella formazione delle nuove generazioni (senza fare della morale e senza togliere il ruolo fondamentale di famiglia ed istituzioni)?

La musica secondo me non ha più quel ruolo lì. Non so dirti se sia peggio o meglio, per quel che mi riguarda cerco di farlo perché di natura sono così, ho l’ esigenza di comunicare e lo faccio. Mi annoia sentire parlare di figa-soldi-lusso-autocelebrazione, ma allo stesso tempo mi annoiano anche testi troppo pesanti pseudo-politici e anch’essi pieni di luoghi comuni. Cerco la mia strada e grazie a Bonnot, con questo disco, penso di averla trovata.
Le nuove generazioni sono il futuro, solo una mente malata può puntargli il dito contro, i ragazzi vanno ascoltati, capiti e se non ci piace la musica che ascoltano, bisogna dargli delle alternative, cosa che ho provato a fare.

Nella title track “Dico sempre la verità”, con l’ironia che accompagna tutto il disco, metti in evidenza il cambiamento che è avvenuto negli ultimi anni all’interno della scena rap italiana, tra il successo ottenuto da molti “trapper”, cover spacciate per pezzi inediti ed una fetta di pubblico poco attento a questi dettagli e con una scarsa cultura del panorama musicale, nazionale ed internazionale.
Ironia (apprezzatissima) a parte, quale credi sia il futuro del rap italiano?

Del futuro del rap italiano non saprei cosa dirti, penso vada a braccetto con la politica del nostro Paese: spostarsi un po’ di qua e un po’ di là, a seconda della convenienza e dell’ andazzo generale.
Nel brano “Dico Sempre La Verità” ho voluto solo farmi quattro risate sull’aspetto del copiare o plagiare. Ci ho messo dell’ironia con un po’ di pepe sopra, perché nel rap, come nella vita, ci si prende troppo sul serio ed io voglio sentirmi libero di ridere se prendi un brano americano e lo rifai uguale. So che molti non se ne accorgono, infatti il brano nasce proprio per ribadire in chiave ironica questo aspetto.

In “Alibi” racconti di molti luoghi comuni della nostra realtà contemporanea, citando il testo: “che te ne fai dell’autocritica se puoi trovare un alibi”. Credi che in Italia, musicalmente parlando, ci sia un po’ la tendenza a giustificare determinati comportamenti, con la scusa del “personaggio”, del “teen idol”?

In questa canzone, così come in tutto il disco, ho preferito concentrarmi sulle persone. Non ho voluto parlare di rappers o di chi fa musica eccetto nella title track, perché non mi interessa minimamente cosa facciano gli altri. La figura del teen idol c’è sempre stata: certo, in U.S.A. sono delle autentiche star, artisticamente molto più preparate rispetto alle nostre. Le nostre copiano, in modo anche imbarazzante, come vedi si torna sempre lì.

Considerando che il rap, per sua essenza ed attitudine, ha sempre raccontato tematiche come il disagio, il desiderio di riscatto e le svariate problematiche sociali, pensi che oggi sia diventato più una costruzione che un reale racconto di ciò che accade nel quotidiano?

Penso che Wikipedia prima e Netflix dopo, siano stati di grande ispirazione per molti, ma penso anche che il vissuto di un rapper non famoso al pubblico non interessi. Bisogna trovare il giusto equilibrio anche qui; nel mio caso, è diverso il modo di scrivere, perché è diverso il mio background e il mio vissuto. Ho iniziato a fare rap negli anni in cui si faceva così, ma se avessi iniziato ora? Chi lo sà…

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