Torino: Askatasuna e la città doppio laboratorio.

ASKATASUNA

Torino laboratorio di repressione è un frame ricorrente e una realtà che chi protesta in città vive sulla pelle. La scelta di Askatasuna e del Comune di intraprendere un percorso di dialogo e sperimentare forme nuove, quali il bene comune e la co-progettazione, lo infrange.

Lasciando intravvedere un’altra città possibile. E specifico: città, perché la delibera sul bene comune è da leggere non come risoluzione di un problema di ordine pubblico, ma come idea di un territorio vivo, dove la conflittualità non è neutralizzata e la partecipazione valorizzata. Un altro modello di democrazia. Utopia? La sterilizzazione di una esperienza di alternativa radicale?

Intendiamoci. Non sarà un percorso facile, si regge su un sottile filo di equilibrio. Dalla parte di Askatasuna, c’è il mantenimento di una radicalità forte nel contesto di una cornice condivisa con il Comune; da parte delle istituzioni, c’è il confronto con un progetto politico e una protesta che urta e inquieta. Ma questa è la complessità di una democrazia conflittuale, è l’indicatore di un suo buono stato di salute. È un segnale controcorrente rispetto all’immagine di una democrazia che non tollera gli scioperi, che reprime l’eco-attivismo, che espelle il pensiero divergente, così come di una democrazia atrofizzata.

Askatasuna, per gli attivisti arrivano le misure cautelari

È una sperimentazione «antagonista», per riprendere provocatoriamente un’etichetta utilizzata in senso squalificante e generalizzante, rispetto al modello imperante: repressivo, omologante e passivizzante.

Fra i connotati più evidenti di Torino «laboratorio di repressione», si segnala un attivismo giudiziario attento a tutte le possibili violazioni di legge, civili, penali, amministrative, sperimentato sugli appartenenti al movimento no Tav ed applicato a chi agisce il conflitto sociale. Colpisce leggere sul sito della Procura che il pool di magistrati che abitualmente si occupa dei reati inerenti la protesta è rubricato sotto la voce «Terrorismo ed eversione dell’ordine democratico». Il dissenso e la protesta, lungi dall’essere ascrivibili al terrorismo (i tentativi in merito sono stati cassati dalla stessa magistratura) non sono eversivi dell’ordine democratico, ma elemento imprescindibile della democrazia. Il concetto di un ordine presupposto è lontano da un orizzonte che implica pluralismo e discussione.

Certo, il compimento di reati va perseguito, ma la responsabilità penale è personale. Ragionevolezza e proporzionalità devono essere il parametro per determinare fattispecie incriminatrici, misure cautelari e pene, come, a maggior ragione, le misure di prevenzione adottate dal Questore, retaggi fascisti, di assai (e più che) dubbia legittimità costituzionale. E poi c’è il comportamento violento delle forze dell’ordine nelle proteste. Penso al primo maggio, dove la volontà di impedire l’ingresso nella piazza allo spezzone sociale produce scontri ormai «classici» (solo nel 2023 evitati, grazie a un intenso dialogo preventivo), ai manganelli sugli studenti antifascisti all’università, ma il discorso può estendersi agli sgomberi di edifici occupati o alla resistenza agli sfratti.

Centri sociali, vis contestativa fuori dal mainstream

Torino è un laboratorio, ma la tendenza è globale: reprimere, dissuadere, intimidire la protesta. È una parte del mondo che di fronte a diseguaglianze insostenibili, agli effetti di una competitività sempre più violenta, si blinda.

La Torino che guarda oltre la stigmatizzazione dei centri sociali come covo di illegalità e riconosce valore all’autorganizzazione di attività sociali e culturali, alla partecipazione dal basso, indica un altro percorso possibile, che – per inciso – è nel segno della Costituzione. È il tentativo di cogliere le potenzialità di una categoria, il «bene comune», come modo per ripensare il bene pubblico come «dei cittadini», senza anestetizzare la divergenza, anche radicale, che assicura la dinamicità plurale, la vitalità, la possibilità di trasformazione, della democrazia.
Starà alle forze politiche in campo far sì che questo sia un modo diverso per mantenere «la forza della critica totale» (Pasolini) senza scivolare in una «confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà» (Marcuse).

È un piccolo passo, la delibera e non lo sgombero, che rinvia al grande scontro sul modo di intendere la democrazia: democrazia come strumento di controllo e gestione del potere o democrazia contro il potere, nel segno di una effettiva emancipazione sociale e politica?

di Alessandra Algostino – docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino

Fonte: https://ilmanifesto.it/ – 4 febbraio 2024

Askatasuna bene comune: al via la coprogettazione – 3 febbraio 2024

LA SPERIMENTAZIONE. Il comune riconosce il valore di un’esperienza viva da 28 anni. Alessandra Algostino: «Si cambia rotta rispetto alle politiche di repressione». I promotori: «Lo scopo è mantenere attiva una comunità propositiva nel quartiere Vanchiglia»

Ieri non era una mattina come tutte le altre: è iniziata una sperimentazione, con tutti i suoi dubbi, ma anche il coraggio di intraprenderla. È stata, infatti, approvata in giunta una delibera – a firma della vicesindaca Michela Favaro e dell’assessore Jacopo Rosatelli – che, recependo la proposta di un gruppo di cittadini, avvia un percorso di riconoscimento di bene comune per l’immobile di corso Regina Margherita 47 e, contemporaneamente, inaugura un tavolo di coprogettazione per il sito. L’edificio è casa da quasi 28 anni del centro sociale Askatasuna, che da tempo vive sotto l’incombente minaccia di sgombero. Una realtà sociale viva e dissenziente, attiva sul territorio, scomoda tanto da finire sul banco degli imputati per «associazione a delinquere». Un’accusa respinta dai militanti e da un mondo impegnato che ruota intorno all’esperienza battezzata, non a caso, «associazione a resistere».

IL DIALOGO tra Askatasuna e i suoi sostenitori, da un lato, e il Comune dall’altro, va avanti da mesi ed è stato formalizzato dall’invio di una proposta di collaborazione, il 22 dicembre scorso, all’ufficio Beni Comuni della città da parte di un gruppo di cittadini: lo psichiatra basagliano Ugo Zamburru, il fondatore dei Subsonica Max Casacci, insieme a Elisa Turro, Rosa Lupano e Loredana Sancin. La proposta ha come obiettivo «mantenere viva una comunità propositiva» inserita nel quartiere Vanchiglia, aumentandone «il carattere sociale e aggregativo» con «una rigenerazione dell’immobile» (messa in sicurezza del piano terra) e la «valorizzazione di una serie di attività»: organizzazione di eventi a tema culturale che rispecchino i valori dell’antifascismo, antisessismo e antirazzismo, una palestra popolare a titolo gratuito, uno studio di registrazione per autoproduzioni dal basso, una biblioteca.

«E, PERCHÈ NO, uno sportello sui disturbi alimentari – dice Zamburru -. Si gioca una partita importante a tutela del dissenso e si apre un tavolo tra Askatasuna, cittadini proponenti del progetto, garanti del percorso e Comune per immaginare un futuro aperto e fruibile da tutti. Nessuno ha finora fatto un passo indietro, ma si è fatto in avanti, ciascuno rinuncerà a un pezzetto. Bisogna salvare l’esperienza che c’è, mettendo in sicurezza lo spazio e aprendolo a tutti. Solo le reti sociali ci possono salvare».

IL PERCORSO è accompagnato da garanti o, meglio, sostenitori che vogliono preservarne il valore comunitario. Tra loro, Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino: «La delibera è una scelta coerente con una visione della democrazia che riconosce all’espressione del conflitto, anche radicale, il valore della partecipazione dal basso e dell’autorganizzazione di attività sociali e culturali. Torino, scegliendo la via del confronto, ha mostrato la possibilità di una risposta diversa da quella dell’ordine pubblico e della repressione del dissenso. Una via originale, democratica, che riconosce concretamente il valore del pluralismo. Il centro sociale Askatasuna ha mostrato la capacità di sperimentare forme alternative per proseguire una attività politica, culturale e sociale, per continuare a essere un soggetto politico e sociale di riferimento. Non è e non sarà un processo semplice, ma è la complessità della democrazia».

IL CENTRO SOCIALE si è riunito in serata e quest’oggi renderà pubblica la sua scelta. Il primo passo dovrebbe essere il rilascio spontaneo dell’immobile, a cui seguirà un intervento per risolvere problemi strutturali e di sicurezza. «Siamo consapevoli – spiega il sindaco Stefano Lo Russo – della portata politica della nostra decisione, ma vogliamo provare a individuare un percorso diverso da meccanismi repressivi in un quadro di legalità. Se ci saranno utilizzi impropri la coprogettazione sarà interrotta». La destra tutta va all’attacco: chiedono l’intervento del ministro Piantedosi e reclamano lo sgombero. «Credo che per Torino – dichiara Alice Ravinale, capogruppo in comune di Sinistra ecologista – sia una giornata importante: questa città, che negli ultimi anni è stata un laboratorio di repressione del dissenso, cambia rotta. Questa è anche la prima applicazione avanzata del regolamento dei beni comuni urbani, che in una città con tanti immobili vuoti può diventare strumento per valorizzare anche esperienze autogestite che rigenerano vuoti fisici e danno risposte a bisogni sociali, culturali e d’incontro».

di Mauro Ravarino

Fonte: https://ilmanifesto.it/ – 3 febbraio 2024

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

EnglishItalianPortugueseSpanish