8 MARZO 2021 – Il covid è una questione di genere. Dei 404.000 occupati in meno, registrati nel 2020, il 70% è costituito da donne!

di Lucrezia Ranieri

Torino 8 marzo

Se avevamo qualche dubbio sul fatto che la pandemia amplificasse le disuguaglianze sociali, l’Istat ce lo risolve. Dopo i dati sull’occupazione italiana registrata in estate con la fine del primo lockdown, dall’autunno, dopo la seconda ondata e le nuove chiusure, la situazione è tornata a peggiorare.

A dicembre 2020, mese in cui, da un punto di vista lavorativo, tra il Natale alle porte e le vacanze di fine anno, si è sempre parlato di un mese frizzante per il lavoro, è successo invece, che gli occupati sono diminuiti di 101 mila unità. Numero già altissimo, ma reso preoccupante dalla suddivisione di genere con cui questo è avvenuto. Si è trattato di un crollo quasi esclusivamente femminile, con 99 mila donne che sono finite disoccupate o inattive.

Un fenomeno che si ritrova, anche se con numeri diversi guardando l’intero anno. Dei 444 mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70% è costituito da donne.

La pandemia cioè, come si evince da questi dati, sta agendo in un contesto (non solo italiano ma globale) dove la disparità di genere, nel mondo del lavoro, erano una criticità già prima dell’emergenza sanitaria.

Il gender pay gap mondiale, cioè la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini è intorno al 20%. In Italia il dato è mediamente più basso, ma questo non significa che le cose vadano bene. Nel settore privato, ad esempio, si supera anche quel valore, motivo per cui l’Italia, continua a perdere posizioni nelle classifiche dei Paesi che attuano la parità salariale.

Ma al di là delle retribuzioni c’è proprio un problema di occupazione femminile che va valutato! Il Censis, fino all’inizio del 2020, rilevava che le donne rappresentano circa il 42% degli occupati complessivi del paese e il tasso di attività al femminile era intorno al 56% circa. I bruttissimi dati dell’Istat di dicembre scorso, che non sono poi molto diversi da quelli dei mesi precedenti, sono una grossa ferita che non si rimargina per il nostro Paese. Il 2020 ha solo precipitato una situazione già in forte emergenza.

Quale il motivo di questo crollo occupazionale al femminile? La risposta è nella natura del lavoro stesso. Le donne, cioè, sono impiegate soprattutto nei settori che più di tutti stanno vivendo la crisi, come quello dei servizi e quello domestico, spesso con contratti poco sicuri e instabili, o con part-time. Per questo motivo, molto spesso vittime sacrificali dei datori di lavoro: un fenomeno che nemmeno il blocco dei licenziamenti è riuscito a fermare.

Di fatto, l’emergenza sanitaria non sta facendo altro che amplificare quelle disuguaglianze che già caratterizzavano la struttura sociale dell’Italia prima della pandemia. Le donne che si caratterizzano per più bassa occupazione, salari scarsi e contratti precari, più raramente occupate in posizioni apicali e dunque sicure, oggi sono le prime a subire gli effetti della crisi. E dunque quando tutto sembra andare bene la realtà è spesso un’altra. Intrappolate nella costruzione sociale per cui il carico e la cura della famiglia deve gravare sulle loro spalle, le donne italiane hanno visto nel 2020 aumentare il loro lavoro con lo smart-working, che si è sovrapposto agli impieghi domestici senza più la possibilità di una separazione di spazio degli stessi.

Per mesi si è raccontato che di fronte alla pandemia siamo tutti sulla stessa barca, ma la realtà ci ha messo poco a dimostrare che sotto ogni punto di vista le cose non stanno così.

Dal diritto alla casa, al mercato del lavoro, dall’accesso alle cure, all’istruzione, l’emergenza sanitaria e i suoi strascichi stanno intervenendo più o meno duramente, a secondo della collocazione geografica e/o del profilo sociale di appartenenza.

Le disuguaglianze economiche, sociali, razziali e di genere preesistenti sono state accentuate e tutto questo rischia di avere conseguenze più a lungo termine del virus stesso. Un fatto da cui l’Italia non si è dimostrata immune, specie per le donne!

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